Great Wall, primo produttore di Suv in Cina, quotato a Hong Kong, dal 2010 realizza le sue auto in uno staibilmento con 1.800 dipendenti in Bulgaria. I precedenti con Volvo, Pirelli e Kuka. Obiettivo: concquistare i mercati europei e americani

MILANO – Non sono proprio una sorpresa per chi conosce il mercato dell’automobile. Il gruppo Great Wall Motor – che avrebbe avanzato una offerta per rilevare il controllo di Fca – è uno dei principali produttori cinesi: è in testa alle classifiche in patria per numero di Suv venduti, oltre a essere il principale gruppo privato. L’azionista di riferimento è l’imprenditore Wei Jianjun, il quale detiene il 40% delle quote azionari, mentre il secondo socio è la municipalità di Baoding – dove ha sede la società – con il 30% del capitale. E’ stato anche il primo gruppo automobilistico cinese a quotarsi in Borsa, per la precisione sul listini di Hong Kong, ottenendo dal mercato 1,8 miliardi di dollari con cui ha sostenuto la sua crescita fin qui ininterrotta. Dal 2004, l’anno dopo la quotazione, è entrata stabilmente nelle prime 500 società cinesi.

Qualche anno dopo, lo sbarco in Europa. Grazie a un accordo con il gruppo bulgaro Litex, ha investito 420 milioni di dollari per la realizzazione di un grande stabilimento che dà lavoro a 1.800 persone. Nel sito vengono prodotti quattro modelli di auto “Great Wall” destinate per lo più ai mercati dei paesi dell’est. Producendo direttamente in Europa, la società ha risparmiato sulle spese di trasporto, oltre ad avere una base daklla quel intende conquistare anche i mercati dell’Europa occidentale.

In Italia, i modelli della “Grande Muraglia” messi in vendita sono soltanto due e provengono proprio dagli stabilimenti della Bulgaria: si tratta del Suv H6 e del pick up Steed 6, che si contraddistinguono per i costi più contenuti della media nella stessa categoria.  Gli addetti ai lavori hanno pure seguito la causa legale che Fca ha intentato contro il gruppo cinese: nel 2006, ha lanciato sul mercato in nuovo modello di utilitaria, il quale – secondo la Fiat – era troppo simile alla Panda. I cinesi hanno perso il procedimento, ma Fiat è riuscita solo a ottenere che venissero bloccate le importazioni in Europa ma non le vendite in Cina.

Nonostante da un anno a questa parte, le autorità cinesi abbiano posto delle norme più severe per gli investimenti all’estero, le acquisizioni in settori strategici sono consentiti e addirittura incentivati. L’automotive è uno di questi, vista la battaglia che si giocherà nei prossimi anni nel mercato dell’auto elettrica, destinata nel corso di un paio di decenni a sostituire la stragrande maggioranza del parco auto circolante a livello globale. I cinesi non sono interessati ad acquisire solo produttori, ma guardano a tutta la filiera. Lo dimostrano le tre operazioni compiute fino a oggi. La prima riguarda la cessione di Volvo: nel 2010, il gruppo svedese in difficoltà economica è passato da Ford ai cinesi di Geely, che l’hanno risanata e riportata in utile. Il secondo caso riguarda l’Italia, con l’ingresso come socio di maggioranza di ChemChina nel gruppo Pirelli, uno dei leader mondiale degli pneumatici. Infine, l’anno scorso il colosso degli elettrodomestici Midea è diventato il nuovo socio di controllo di Kuka, leader tedesco della robotica industriale, un settore fondamentale per le linee di produzione.

Ma tutto fa pensare che sia solo l’inizio: il prossimo obiettivo è lo sbarco in America, dove fino a ora le aziende cinesi hanno speso parecchi milioni di dollari per partecipare alle fiere di settore, ma non sono ancora riuscite a sfondare. Sempre che gli Usa e la Ue non approvino regole restrittive per impedire che una industria di “peso” come l’automobile finisca in mani orientali.